IL FIELD EFFECT TRANSISTOR (F.E.T.)

 Cenni storici

Il FET nasce in Inghilterra all'alba di quel tragico evento che sconvolse la Storia: la Seconda Guerra Mondiale, ma non si deve assolutamente affiancare tale scoperta a quelle belliche, come ad esempio il radar, che ebbero impulso esclusivamente per fini militari.
Il FET, infatti, non conobbe applicazione e sviluppo concreti se non alcuni decenni dopo, e precisamente intorno al 1970. In realtà, nel 1939, il ricercatore inglese Heil depositava soltanto un brevetto industriale nel quale si descriveva un componente elettronico il cui principio di funzionamento sfruttava le diverse proprietà conduttrici delle superfici.
Tale felice intuizione venne ripresa sul finire del Conflitto Mondiale da due ricercatori americani, J. Barden e B.H. Brattain per potenziare gli apparati amplificativi della Bell Telephone.
La ricerca di base, di questi due virtuosi scienziati, si era, però, successivamente concentrata sulle capacità conduttive del germanio e sulle giunzioni dei semiconduttori. E anche a livello mondiale l'orientamento fu quello di seguire la ricerca sui fenomeni di giunzione, cosicchè lo sviluppo del FET, che, invece, sfrutta i fenomeni di "superficie", fu ampiamente ritardato a completo favore dei transistor.
Oggi, comunemente, si percepisce il FET (poi vedremo che si può parlare di Jfet o di Mosfet) come l'ultimo apparato amplificativo nato, ma in realtà, come appena ricordato, fu solo il suo sviluppo ad essere ritardato o non sufficientemente approfondito, non la sua scoperta che è ben più datata.
Nel 1952 il ricercatore W. Shockley realizza il primo Transistor Unipolare ad Effetto di Campo, quindi è solo negli anni Cinquanta che il FET fa la sua prima apparizione in veste pressoché definitiva. Per le ragioni cronologiche di cui sopra e per la forte similitudine del suo funzionamento rispetto alla Valvola Termoionica, l'ho voluto inserire nell'ottavo capitolo, in maniera abbastanza inusuale per i trattati teorici di elettronica, e comunque prima di parlare del BJT.

CARATTERISTICHE DI FUNZIONAMENTO

 Il FET si compone di una sbarretta di materiale semiconduttore avente due contatti metallici alle estremità. Tali contatti rappresentano i terminali di "source" e di "drain" (sorgente e pozzo). Sulla sbarretta, in seguito definita "corpo" del fet, viene inserito un terzo terminale, detto "gate". La figura sotto riportata aiuterà ad avere un'idea di quanto detto:


 Il corpo del Fet non ha una struttura omogenea, ma viene realizzato drogando diversamente alcune aree. Drogare vuol dire introdurre in un materiale atomi di natura diversa che ne accrescono fortemente la conducibilità (nell'espressione "drogare" una certa similitudine con gli effetti esaltanti cui inducono alcune sostanze sulla mente umana c'è: infatti come il soggetto "drogato" inizia ad esaltarsi e a comportarsi in maniera difforme al normale, così i materiali drogati iniziano a condurre in maniera diversa da quella che è la loro condizione naturale).
Il Gate di un Fet può essere isolato dal resto del corpo da una giunzione polarizzata inversamente e si parla allora di JFET (Junction Fet o Fet a giunzione) oppure da un sottile strato di materiale isolante e si parla, in questo caso, di MOSFET (Metal Oxide Semiconductror FET) o più brevemente MOS.
Tornando ad occuparci, al fine di approfondire, del principio di funzionamento del FET osserviamo che il terminale di "gate" viene collegato ad una regione del "corpo" realizzata con tecniche particolari, che adesso non descriveremo, e che presenta una diversa conducibilità rispetto al resto del componente (zona). Tale regione, detta "regione di svuotamento", ha la caratteristica di avere una superficie variabile a seconda della polarizzazione che assume il "gate".
Più precisamente la dimensione della "regione di svuotamento" è direttamente proporzionale alla tensione inversa applicata. Le dimensioni della "regione di svuotamento" condizionano, così, la corrente che scorre tra Drain e Source, poiché tanto più essa è ampia, tanto più bassa sarà la corrente che riuscirà a transitare e viceversa. Schematicamente il tutto può essere immaginato nel seguente modo:

La "regione di svuotamento", in sostanza, si comporta come un isolante. Assegnato, allora, un valore di tensione tra S e D, il flusso di corrente esistente sarà condizionato dalla dimensione di detta "regione di svuotamento", ossia dalla polarizzazione del Gate, poiché abbiamo detto che la dimensione della "regione di svuotamento" dipende dalla polarizzazione del terminale di Gate.
Ed ecco allora definito un dispositivo di pilotaggio di corrente ottenuto modulando una tensione di ingresso, in altre parole, un dispositivo a "controllo di tensione" proprio come la Valvola Termoionica di Flemming.
Come il nome stesso dei terminali suggerisce, il flusso di elettroni va dal Source al Drain, mente il Gate forma la giunzione p-n che esercita una funzione di controllo delle cariche. E su quest'ultima affermazione che qualcuno fra i miei pochi, ma attenti lettori, sta già pensando che io debba essermi assolutamente confuso, avendo messo nel disegno la freccia nella direzione esattamente opposta a quanto detto.
Combattuto tra il proseguire non svelando il mistero (forse per alcuni è già chiaro così, ma la filosofia di fondo di questa Teoria non è quello di parlare ad una dotta platea di ingegneri o fisici) ed aprire una breve parentesi (la prima soluzione sarebbe in effetti molto più semplice, ma non in linea con il mio pensiero) scelgo di aprire la parentesi per chiarire che soltanto convenzionalmente si indica con + e – il senso del flusso di corrente, dove + indica che gli elettroni vengono attratti e – che essi vengono respinti. Nelle comuni batterie il polo + è il polo verso il quale gli elettroni si muovono riempiendo le lacune…….. Qualcuno adesso si starà chiedendo cosa saranno mai queste lacune…….
Facciamo, allora, qualche doveroso passo indietro, sarò comunque breve, dando facoltà a chi non fosse interessato all'argomento "lacune" di andare direttamente al paragrafo successivo "Il funzionamento del FET"; gli altri pazientemente mi seguano…...

Atomi e Materia
La materia, cui tutto l'Universo è formato (noi compresi), non è continua come sembra, ma discontinua. (?????????? Pausa di 2 minuti)
 "Le apparenze ingannano" dice un vecchio detto popolare, infatti nonostante i vari oggetti che ci circondano appaiono, al nostro impreciso occhio, più o meno duri e compatti in realtà essi non lo sono affatto. La materia al suo interno (e qui parliamo dell'infinitamente piccolo che nessuno ha mai visto, ma solo immaginato) è formata da piccole particelle, le molecole le quali al loro volta sono formate da Atomi. Ora tutti abbiamo sentito spesso parlare di Atomi, quantomeno di energia Atomica o di terribilissime armi Atomiche. Atomo, se no erro, deriva dal Greco Antico "atomòs" e vuol dire indivisibile.

Un po' di storia.
I filosofi greci Democrito ed Epicuro affermarono per primi l'esistenza dell'atomo, ma viste le difficoltà dimostrative per i mezzi dell'epoca, la filosofia "atomista" venne sopraffatta da quella Aristotelica, accettata e idolatrata nell'arco dei secoli. Nel tardo Medioevo, sul finire del 1500, qualcuno tornò ad accennare vagamente alla "teoria atomistica della materia" di Democrito ed Epicureo: Giordano Bruno, Galileo e Bacone, ma solo Gassendi riprese ad elaborare ed affinare tale teoria.
Il vero salto di qualità fu realizzato, però, secoli più tardi dallo scienziato J.J.Thomson e precisamente nel 1897. Egli fu il primo ad avvicinarsi alla verità, e come conclusione di una lunga serie di esperimenti realizzò di aver scoperto una nuova particella: l'elettrone. Sulla base delle sue scoperte realizzò un modello, secondo cui l'atomo era una sfera di raggio 10-10 m circa, contenente al suo interno gli elettroni e, essendo l'atomo neutro, doveva esistere una massa positiva tale da bilanciare la carica negativa degli stessi elettroni. J.J.Thomson aveva, però, ipotizzato un moto lineare degli elettroni.
Successive sperimentazioni evidenziarono che qualcosa non funzionava nella teoria di Thomson. La teoria atomistica fu completata dal fisico danese Niels Bohr (che aveva partecipato agli esperimenti che avevano dimostrato l'inesattezza della teoria di J.J. Thomson). Bohr dedusse che gli elettroni atomici dovevano essere distribuiti a strati, nel senso che dovevano percorrere orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole) e non muoversi linearmente come precedentemente teorizzato.
Per superare il problema dell'emissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, egli suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali l'elettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo quest'idea le orbite dell'elettrone venivano, quindi, quantizzate. Bohr, in pratica, sostituì l'interazione gravitazionale a quella elettromagnetica.
Riepilogando, gli Atomi sono costituiti da un nucleo (formato da piccolissime particelle aventi carica positiva, i protoni, uniti a particelle di carica neutra, i neutroni) attorno al quale ruotano, in orbite circolari, particelle di carica negativa gli "elettroni".
Il tutto si mantiene in un equilibrio stabile poiché il movimento, e dunque la forza centrifuga, si contrappone alle forze magnetiche esercitate dal nucleo verso gli elettroni.
Tra quest'ultimi c'è dunque dello spazio vuoto che, per quanto piccolissimo, non può essere trascurato. Ecco perché ho esordito questa breve nota con l'affermazione che la materia è discontinua.


 Nota: Qualcuno dei miei compagni del liceo chiese al prof. il nome dello scienziato che per primo avesse visto l'atomo. E' bene allora precisare che fisicamente nessuno ha mai visto un atomo, poichè non è possibile vederli con nessun microscopio o altra apparecchiatura, ma ad oggi si è certi della loro esistenza poiché, sfruttando le leggi della fisica atomica, si è arrivati, come tutti sanno, alla generazione e al controllo dell'energia atomica (e non sempre purtroppo per fini pacifici).
Se ciò che Bohr ha teorizzato non fosse vero allora le bombe atomiche non dovrebbero esplodere, mentre invece…………… Riprendendo il filo ….i materiali esistenti in natura non presentano tutti le medesime caratteristiche: ci sono i materiali "conduttori", i "semiconduttori" e gli "isolanti". Il differente comportamento elettrico (ed è una fortuna che sia così altrimenti non avremo argomenti di cui parlare) dipende dal comportamento degli elettroni che occupano gli strati orbitali più esterni.
Negli isolanti, si pensi al legno o alla plastica, gli elettroni più esterni, detti "di valenza", sono saldamente legati al nucleo e poco propensi ad acquisire energia per staccarsi da esso.
Nei conduttori, invece, esiste una gran quantità di elettroni "liberi" disposti ad acquisire energia e ad abbandonare il nucleo per iniziare quel fenomeno a catena che genera la conduzione elettrica.
Nei semiconduttori, infine, si può modificare il comportamento elettrico agendo sulla struttura interna. Ecco perché poco fa, descrivendo la struttura del FET ho parlato di "drogaggio". Il materiale semiconduttore più usato in elettronica è il silicio, mentre il germanio si trova solo in alcune applicazioni avendo dei limiti termici molto più critici.
A qualcuno forse sarà venuta in mente la Silicon Valley, qualcosa c'entra poiché i semiconduttori sono stati alla base dello sviluppo dei microprocessori per computer. I semiconduttori presentano quattro elettroni nell'orbita più esterna e per questo motivo sono detti tetravalenti (tetra= 4). Gli atomi dei semiconduttori non sono slegati fra loro, ma si uniscono formando dei cristalli.
L'unione avviene mettendo in comune una coppia di elettroni, in modo da avere ciascuno, otto elettroni nell'orbita più esterna: e precisamente i propri quattro più i quattro messi in comune con i quattro atomi circostanti (in altre parole un vero e proprio condominio) .
La struttura così formata è una struttura a cristalli ed è stabile soltanto in teoria: infatti si presenta come appena descritto soltanto alla temperatura di zero termico assoluto (per capirci circa 270° C sotto zero). A temperatura ambiente si manifesta una certa agitazione termica (gli elettroni sentono caldo e si agitano un po' come capita a noi in estate); alcuni di essi assumono energia termica riuscendo a rompere i legami covalenti (quelli di condominio) e diventando liberi di attraversare la struttura.
Un elettrone che abbandona il suo posto, in uno di detti legami covalenti, lascia un posto vuoto, crea, cioè, una lacuna (svelato il mistero). La lacuna in realtà può essere considerata come una particella di carica positiva, anche se è solo un posto vuoto. A questo punto un altro elettrone libero può andare ad occuparla, (in altre parole la lacuna attrae l'elettrone che ha carica -), ma così facendo e cioè abbandonando il suo posto, detto elettrone, crea una nuova lacuna che sarà pronta per essere occupata da un altro elettrone e così via. Il flusso di elettroni in movimento si è così generato.
Osservando il fenomeno da un altro punto di vista, si potrebbe parlare di "flusso di lacune" anziché di "flusso di elettroni", un po' come quando a Natale si osservano le luci intermittenti a sbalzi verdi e rosse: c'è chi vede le luci rosse camminare su sfondo verde e chi vede quelle verdi camminare su sfondo rosso. Stessa cosa si può dire per la corrente.
E allora il flusso di elettroni scorre in un senso, ma la corrente, vista come movimento di lacune, scorre in senso opposto. Ecco allora che, nel grafico del FET è adesso tutto o.k.: la corrente scorre dal Drain verso il Source, mentre gli elettroni scorrono dal terminale di Source a quello di Drain: nelle comuni batterie il polo + indica che gli elettroni sono attratti, mente il polo – indica che essi sono respinti e, dunque, il flusso di corrente (inteso come flusso di lacune) scorre dal polo + al polo -.
Nella speranza di aver fatto definitivamente chiarezza torniamo adesso, dopo aver violentemente deviato dal nostro percorso programmato, ad occuparci del FET

Nota dell'autore. Nel frattempo si è verificato un piccolo black-out di corrente nel mio quartiere e ho riscritto il pezzo due volte: un vero sballo alle 23.52.

 Il funzionamento del JFET

La quantità di corrente che scorre all'interno del FET è, quindi, controllata dalla tensione esistente tra Gate e Source. Il Fet è oggigiorno realizzato collocando il Gate in maniera simmetrica al centro del corpo sui lati esterni della sbarretta in modo da creare un vero canale di scorrimento interno come riportato in figura:

Esiste di conseguenza una tensione Vgs per la quale la "regione di svuotamento" è talmente ampia da impedire completamente il passaggio di corrente (tensione di cut-off). Il Fet si trova, pertanto, in completa interdizione.
Ricordo che nell'esempio fatto fin ora, che va sotto il nome di Fet a canale n, la Vgs (tensione tra gate e source) è negativa, mentre la Vds (tensione tra drain e source) è positiva. Ovviamente si può invertire la polarità nei tre terminali ed ottenere un JFet detto a canale p.
Sia che parliamo di Fet a canale n, che a canale p, si osserva che la conduzione è sempre affidata a particelle della stessa polarità: o elettroni (Fet a canale n) o lacune (Fet a canale p). Per tale ragione si può anche parlare di Fet come di "transistori unipolari", e concludere che vista la unipolarità essi sono influenzati soltanto marginalmente da fenomeni termici.
Nel prossimo capitolo vedremo, invece, come nei Transistor l'effetto termico giochi un ruolo di disturbo fondamentale.
Il simbolo circuitale del FET (a canale n) è il seguente:


Invertendo le polarità dei te terminali (D,S e G) si ottiene il Fet a canale P:



Drain Gate Source

Il Mosfet
Di diretta derivazione del JFet è il Mosfet, letteralmente Metal Oxide Silicon Field Effect Transistor. L'analisi della sigla ci condurrà alla spiegazione: Metallo Ossido Semiconduttore Transistor ad Effetto di Campo. Sul significato di "effetto di campo" siamo ormai tutti d'accordo, mentre per indagare il Metal Oxide Silicon basterà precisare che si tratta di una tecnica realizzativa del Gate, più evoluta del JFet (Fet a giunzione) che viene isolato, come già detto, dal corpo del dispositivo mediante un sottile strato di ossido di silicio. Nel Mosfet il corpo è costituito da un substrato di silicio a bassa drogatura. I terminali di Drain e Source si trovano, invece, in due zone a forte drogatura (chi fosse interessato ai numeri 10^18/10^20 atomi/cm3), realizzate successivamente sulla sbarretta. Il terminale di gate si trova, invece, in una zona isolante a biossido di silicio. Tale elettrodo viene realizzato mediante un particolare processo di vaporizzazione sotto vuoto e "deposizione" di alluminio, che forma lo strato conduttore: Al variare della tensione applicata a tale terminale, si varia, per effetto di campo elettrico, la distribuzione e la densità delle cariche nella zona del substrato sottostante (il corpo del Mosfet) che viene detta "zona canale".


 Gate Source - Drain + Substrato Substrato p Nella figura soprariportata la zona di colore Azzurro rappresenta l'elettrodo metallico del Gate, la zona Gialla il substrato di tipo p (con lacune cariche positive), mentre la zona in Rosso rappresenta lo strato isolante. Infine i due quadratini bianchi rappresentano le zone N a forte drogatura dove sono connessi i terminali di Drain e di Source. Breve pausa di riflessione…………………………………
Nessuno di Voi si dovrà spaventare sentendo parlare di IGFET (Insulated Gate FET) o di MIS (Metal Insulator Semiconductor), poiché si tratta semplicemente di MosFet con Gate isolati diversamente, mentre il principio di funzionamento rimane sempre lo stesso. Quale? Lo illustriamo subito.
Partiamo con dei presupposti:
 nel Mosfet il Drain è posto ad una tensione superiore a quella del terminale di Source, ma non vi è alcuna circolazione di corrente poiché la giunzione p-n rappresentata dal Drain e dal substrato della sbarretta è polarizzata inversamente;
 applicando una tensione positiva tra Gate e Source, si genera un campo elettrico che allontana dal Gate le lacune del substrato vicine allo strato di ossido di silicio. Perché? Perché se ricordate le lacune possono essere viste come cariche positive + che vengono respinte da tensioni positive. Si genera, così, una regione di interdizione priva di lacune e di grandezza dipendente dalla ampiezza dalla tensione applicata tra il terminale di Gate e quello di Source;
 in tale "canale" gli elettroni possono liberamente scorrere in direzione Source/Drain poiché non vi sono lacune che li attraggono, ed il flusso di corrente risultante (che scorre dal Drain al Source) è ancora sempre sotto il controllo di una tensione, quella di Gate.

Nella figura il canale di scorrimento tra Drain e Source è l'area rappresentata in verde.

Differenze tra JFET e MOSFET.

 Il Junction FET, questo lo abbiamo già detto, conduce anche per tensioni di Gate nulle e presenta una tensione di Cut-off oltre la quale non si ha più tale conduzione, mentre il Mosfet non conduce in assenza di tensione sul terminale di Gate, poiché è la tensione di Gate che crea un più o meno ampio "canale di scorrimento".
Per questa ragione il Jfet è anche detto Dispositivo a Svuotamento (depletion) mentre il MosFet è detto ad Arricchimento. Però anche in assenza di polarizzazione esiste un canale n residuo tra Source e Drain è dunque possibile realizzare anche un MOSFET a Svuotamento a canale n. Tale canale si realizza tramite diffusione nel substrato di tipo p.
In realtà lo strato di isolante (nella figura la parte in azzurro) di ossido di silicio contiene Ioni Positivi (cioè atomi con lacune che attraggono elettroni) che allontanando le lacune creano un canale n nel substrato (parte gialla) dove possono transitare gli elettroni.
Per tali ragioni il Mosfet più usato è il Depletion (a svuotamento) poiché sul suo gate si possono usare tensioni positive e negative poiché non è necessario polarizzare giunzioni. Quindi nel Mosfet depletion se la tensione di Gate è positiva si aumenta la già presente corrente di Drain, se negativa la si diminuisce. Ricordarsi quindi che il Mosfet depletion in assenza di tensione di Gate presenta una corrente di Drain esistendo un canale n anche se piccolo tra D e S.

 Simboli circuitali del Mosfet

. I simboli circuitali dei vari tipi di MosFet tentano di indicare la connessione elettrica del substrato. Il simbolo circuitale del Mosfet ad arricchimento a canale n, ad esempio, presenta degli spazi nel tratto che simboleggia il "canale di scorrimento" per indicare che in condizini normali non sussiste conduzione tra Drain e Source. Il Gate è, invece, sempre mostrato isolato dal canale. Uno sguardo ai simboli circuitali chiarirà le idee: Simbolo circuitale del Mosfet a svuotamento canale n:


 Drain substrato Gate Source Simbolo circuitale del Mosfet ad Arricchimento a canale n:

Nel Mosfet i valori da considerare sono: 1. la corrente di Drain, Id funzione della tensione di ingresso Gate/Source Vgs; 2. la transconduttanza gm= Variazione Id/Variazione Vgs, ossia di quanto varia la corrente di Drain in rapporto al variare della tensione di ingresso. La transconduttanza esprime dunque come la tensione di ingresso controlli la corrente in uscita;

Diagrammi Cartesiani Corrente di Drain tensione di ingresso.

Schematizzando con l'ausilio dei diagrammi cartesiani, tanto cari ai nostri professori di matematica del liceo, quanto finora detto si ha:




Dopo aver esaminato anche i diagrammi Id/Vgs dei FET e dei Mosfet, Vi lascio a profonde meditazioni…….. prossimo appuntamento il IX Capitolo dove analizzeremo l'ultimo componente amplificativo: il Transitor BJT.
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Un caloroso ringraziamento a tutti coloro che hanno fin ora scritto per esprimere apprezzamenti alla Teoria Audiophile e che seguono con interesse il mio "lavoro".

Roberto De Laurentiis - email: Klf20@virgilio.it  

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