CAPITOLO V: L’ALTA FEDELTA’ ASSOLUTA
Questo Quinto Capitolo è sicuramente il più “astratto” e per molti versi il più impegnativo che potessi avere l’idea di scrivere. Sicuramente per il tenore degli argomenti trattati il più soggetto a critiche e a dissensi, ma forse proprio per questo il più affascinante e, oserei dire, il più originale dell’intera opera. Non sarà un Capitolo molto lungo, ma sicuramente inquietante.

Il punto di riferimento, quando si parla di riproduzione fedele dei suoni (come già ampiamente illustrato nel Capitolo precedente) non può che essere il suono dell’Orchestra Sinfonica. Ora avrei voluto scrivere qualcosa di molto sintetico io stesso, ma ho trovato un interessantissimo saggio di Rob Ainsley (versione originale inglese su “Mozart the man and the music”), che ci offre l’opportunità di approfondire alcune conoscenze circa gli effetti perduti a causa della mutata disposizione standard degli strumenti. Ma senza anticipare nulla di più leggiamo insieme il saggio di Ainsley….

“Non c'è mai stata un'orchestra "standard". Il numero e la qualità degli strumenti dipende, oggi come nel Settecento, dal tipo di composizione. Nel 1770, per esempio, Leopold Mozart osservò che l'orchestra milanese aveva quarantadue archi, mentre un'orchestra teatrale più piccola avrebbe potuto benissimo averne soltanto quattordici.

Tuttavia nel corso del ventesimo secolo si è avuta una sorta di standardizzazione per quel che riguarda la collocazione dei vari gruppi di strumenti. I primi e i secondi violini ora sono posti gli uni vicini agli altri sulla sinistra, mentre i violoncelli e i bassi stanno a destra. Sino alla fine del diciannovesimo secolo, i primi e i secondi violini erano su lati opposti dell'apparato orchestrale e perciò molti compositori scrissero le parti per i violini in maniera tale da sfruttare l'effetto di simmetria dell'arrangiamento.

In buona sostanza, tutti i lavori sinfonici di Mozart utilizzano questo "effetto stereofonico", come appare dai dialoghi tra i primi e i secondi violini. L'effetto si perde facilmente nelle esecuzioni che usano la moderna disposizione degli strumenti, con i violini accostati. Per esempio, l'inizio del secondo movimento della sinfonia n. 40 (K 550), con le linee melodiche dei violini che si rincorrono l'una con l'altra, può perdere il suo vero carattere se i violini non sono divisi nello spazio. Ancora: il finale dell'ultima sinfonia, la "Jupiter" (K 551), con i suoi sei temi concorrenti, può apparire confuso se le linee melodiche non vengono chiaramente distinte, e ciò è più facile da fare con le orchestre disposte secondo l'antica struttura.

La ragione del cambiamento di posizione dei violini, così come quella di molti altri strumenti, sta molto probabilmente nel fatto che gli strumenti sono cambiati per potenza e qualità di suono in maniera non eguale, cosicché si sono alterati gli arrangiamenti ideali per un suono equilibrato. Nelle grandi sale da concerto, i secondi violini, collocati un po' più lontani dal pubblico per via della loro posizione spostata verso destra, dovevano essere diventati troppo deboli al confronto dei primi violini: perciò si è dovuto muoverli verso sinistra, più vicini al pubblico.

La struttura dell'orchestra del Grand Théâtre di Versailles, che Mozart conobbe sia nel 1763 che nel 1778, fu registrata nel 1773 da François Metoyen, ed è riportata qui in basso: grazie ad essa possiamo conoscere le posizioni standard dell'orchestra del tempo. I violoncelli si allargano davanti ai violini, mentre i quattro bassi sembrano essere messi quasi a caso, come per riempire gli spazi vuoti. I violini sono chiaramente distinti: i primi a sinistra, i secondi a destra.


La struttura dell'orchestra del 1773

Questa breve trattazione ci dà l’opportunità di riflettere sull’importanza della disposizione degli strumenti e, di conseguenza, di come tale disposizione debba essere correttamente ricostruita da un Impianto di Alta Fedeltà, ossia in gergo di come sia ricostruita la “scena sonora”. Addirittura Rob Ainsley osserva e riflette sul “come si sia perso l’effetto stereofonico così come originariamente concepito dallo stesso Mozart” che aveva basato diverse composizioni sul “dialogo” fra primi e secondi violini.

Ora posto che l’obiettivo finale è quello di ricostruire la “scena sonora” così come rappresentata al momento della registrazione, a parere di chi scrive (e sottolineo che quello che sto per affermare non è la verità assoluta e che può essere tranquillamente criticato e non condiviso) gli attuali supporti così come vengono realizzati non sono assolutamente idonei a realizzare tale obiettivo. Stessa cosa dicasi per tutti gli attuali apparati riproduttivi così come sono fin’ora concepiti.

Quello che sto cercando di criticare è l’esistenza dei due canali: destro e sinistro che andrebbero, invece, ampliati ad un numero che penso possa basarsi su un minimo di cinque canali.

Questo, ovviamente, andrebbe previsto sia nella fase di registrazione, che in quella di riproduzione che passerebbe, così, per 5 canali da leggere, trascodificare, amplificare ed infine riprodurre con altrettanti elementi diffusivi, un po’ come avviene per l’home theater, con l’evidente differenza che, in questo caso, i canali dovrebbero essere tutti frontali, due a destra, due a sinistra ed uno centrale. L’idea di base della stereofonia che, avendo due orecchie, siano sufficienti due canali è completamente errata. I cinque canali sarebbero 2 esterni, 2 mediani ed uno centrale.

Infatti, per quanto sofisticati, gli attuali sistemi stereofonici non riescono nell’intento di riprodurre correttamente e completamente una piena scena sonora. Tale discorso ovviamente non vale per la riproduzione di concerti Rock, dove tutto dipende da come vengono amplificati i vari strumenti e di come i diversi segnali vengano “mixsati” e forniti in output. Certo è che, se questa fase non viene realizzata, ma ogni strumento viene amplificato singolarmente e ciò viene ascoltato, allora torna valido il discorso fatto prima.

Oserei affermare che, la base di un qualunque sistema Hi-Fi, è rappresentato da un sistema stereofonico a due canali, ma che questo sia il punto di partenza minimo, non necessariamente quello di arrivo e che tale concetto non sia da confondere con il numero di diffusori cui si ricorre. E’ un problema di numero di canali e di come essi vengano predisposti.

Un problema potrebbe essere rappresentato dai costi di una simile impostazione, ma viste le recenti conquiste dell’home theater in materia di economicità e le possibilità offerte dai nuovi supporti audio, penso proprio che non stiamo sognando nulla di irrealizzabile. Certo le dimensioni e gli ingombri di sistemi così congeniati aumenterebbero, ma il titolo di questo V Capitolo è L’Alta Fedeltà Assoluta che non può trovare ostacoli di natura economica o dettati da compromessi dimensionali e rappresenterebbe un deciso passo in avanti per tutto il mondo dell’Alta Fedeltà.

Con queste ultime riflessioni abbandoniamo la Prima parte della “Teoria Audiophile” per entrare più nello specifico nel settore più tecnico dell’amplificazione dei suoni e dei dispositivi di amplificazione chiedendo all’amico Alessandro di ricoprire il ruolo che fu di Virgilio nel capolavoro Dantesco nella speranza che gli argomenti che tratteremo non si trasformino per me nei gironi dell’Inferno……

INTEGRAZIONE

A seguito di alcune domande ricevute e a distanza di alcuni mesi dalla sua prima stesura, torno un po' indietro, per approfondire, in questo V capitolo, alcuni aspetti che hanno destato molto interesse tra gli appassionati. Fatto salvo tutto quello fin ora detto e ai soli fini direi "provocatori" aggiungiamo che, secondo alcune recenti teorie, la percezione dei suoni non sarebbe oggettiva, ma soggettiva. Attenzione non stiamo parlando adesso di gusti musicali: è ovvio che ci può essere chi preferisce un suono più morbido o più graffiante e duro. Non parliamo, però, di gusti, bensì di percezioni uditive. Da un'attenta analisi dell'apparato uditivo umano (che ricordiamo a grandi linee essere composto da un orecchio esterno, una tromba di Eustacchio, un orecchio medio e un orecchio interno, oltre a tutto il resto che adesso non analizzeremo rimandando a un approfondito corso di medicina) alcuni ricercatori hanno avanzato l'ipotesi che la forma del blocco uditivo "spalle-collo-orecchie" influenzi in modo oggettivo la percezione dei suoni, sicché due individui, con proporzioni del blocco uditivo diverse, percepirebbero in maniera diversa i suoni....Se aggiungiamo adesso questo aspetto a quelli fin qui esposti l'argomento hi-fi diventa quanto mai intricato ed affascinante. Tutto questo come premessa, ripeto, provocatoria al discorso che riprenderemo adesso circa la riproduzione Hi-Fi multicanale.
Mi ero, infatti, espresso sulla necessità di superare il concetto di riproduzione stereo. Fughiamo, allora, distorte interpretazioni, che mi pare di aver colto nelle e-mail ricevute, facendo un breve richiamo al concetto di riproduzione stereo a due canali.
Abbiamo già ampiamente parlato dell'intensità dei suoni, di come le onde sonore si propaghino e di come tali informazioni, giunte e raccolte dall'orecchio, vengano decodificate dal nostro cervello provocandoci più o meno gradite sensazioni. L'intensità dei suoni e la differenza di come essi arrivano ai nostri due orecchi (destro e sinistro) danno la possibilità al cervello di elaborare l'informazione e di individuare nello spazio, rispetto alla nostra posizione, la fonte delle loro emissione: destra, sinistra, centro, lontano, molto lontano, vicino, molto vicino ecc. e questo di solito anche in assenza del senso della vista. Anzi spesso proprio per concentrare l'attenzione sul senso uditivo è comune prassi escludere la vista, che potrebbe ingannare o distrarre. Personalmente sono favorevole all'ascolto in penombra o anche totalmente a buio, anche se non ne faccio un dogma assoluto.
Il sistema stereo a due canali sfruttando la diversa intensità dei suoni e il ritardo, con cui essi vengono inviati ai due canali, consente di ottenere una percezione ingannevole per il cervello, in grado di fargli percepire la scena sonora così come essa si presentava al momento della sua registrazione. Di conseguenza fornendo la stessa intensità ai due canali sul medesimo segnale, l'informazione che arriverà al cervello sarà quello di un suono frontale, sbilanciando l'intensità del segnale, invece, lo si orienterà e ritardandolo adeguatamente gli si darà la profondità. Tutto questo in assoluta teoria, poiché non sempre il cervello è così disposto a farsi ingannare, essendo allenato praticamente di continuo a riconoscere i suoni e a decodificarli conseguentemente: ogni giorno riconosciamo i suoni nella vita quotidiana, uscendo per strada, parlando con gli altri e, quindi, tale esercizio è un continuo che si svolge tutti i giorni. Ingannare il nostro cervello non è, per tanto, impresa da poco.
Storicamente il sistema "stereo a due canali" fu brevettato nel 1931 dall'inglese Blumlein, ma soltanto molti anni dopo soppiantò completamente quello monofonico. Dal 1955 al 1965 si assistette al fenomeno della nascita delle prime industrie stereofoniche e all'avvento dei grandi marchi americani dell'alta fedeltà in quella che va sotto il nome di Golden Age (o età dell'oro a ricordare quella dei primi pionieri americani). Ho già accennato ai grandi storici marchi quali Altec, Klipsch, Marantz, Mc Intosch nati dalla passione dei pionieri dell'alta fedeltà, che nei garage e nei fondaci delle loro abitazioni, crearono i primi apparati di riproduzione, tralasciando, però, di dire di come, in quegli anni, si sperimentarono anche varie tecniche di registrazione dei suoni, soprattutto concentrandosi sulle grandi orchestre sinfoniche. Tutte le tecniche di registrazione di quegli anni, però, si basavano su un numero assai limitato di microfoni i cui segnali venivano poi riversati o meglio miscelati su due canali. Inizialmente la fase di miscelatura non c'era, infatti, non è raro trovare alcune registrazione dell'epoca con la voce riversata esclusivamente sul canale destro e gli strumenti esclusivamente sul canale sinistro. Successivamente si passò al riversamento e alla miscelazione dei suoni, sempre ricercando diverse intensità e diversi ritardi al fine di ricostruire la corretta scena sonora.
L'evoluzione delle tecniche di registrazione è continuata durante tutti gli anni '70, anni nei quali il numero dei microfoni presenti in sala di registrazione è andato via via aumentando, così come le manipolazioni e tutto il resto prima di incontrare nel 1981 la rivoluzione CD. Non è un caso che, spesso, a prescindere dall'impianto hi-fi (purché sia un impianto ad alta fedeltà e non un "radione" da spiaggia") la registrazione, e conseguentemente la scelta fatta dal tecnico responsabile, fa totalmente la differenza. Ad esempio l'uso di tanti microfoni quanti sono gli strumenti da registrare e il loro riversamento su due canali, fornisce di solito una scena sonora piena, affollata e molto affaticante. Tale tecnica che va sotto il nome di "multimicrofonia", si contrappone a quella minimalista dell'uso di soli due microfoni: uno a canale, con tutto quello, poi, che si può frapporre nel mezzo.
La tecnica della registrazione multicanale, di cui ho parlato, non è assolutamente da confondere con la multimicrofonia stereo, poiché il riferimento è fatto alla registrazione/riproduzione multicanale. In questo caso si cerca di ingannare meno il cervello evitando di ricercare la spazialità con una modulata intensità a due soli canali. In un impianto stereo a due canali, fornendo la stesa intensità al segnale per entrambi i canali, si riproduce il segnale "centrale", è il caso classico della voce del cantante.
Nel sistema multicanale tale risultato viene conseguito più semplicemente facendo scaturire la voce direttamente da un trasduttore collocato frontalmente all'ascoltatore. Il risultato è, in questo caso, certo, mentre nel sistema stereo a due canali occorre vedere se l'effetto voluto (e in questo gioca la qualità della registrazione e dell'impianto che la va a riprodurre) viene correttamente realizzato.
A modesto parere di chi scrive nella registrazione/riproduzione multicanale si lavora più in fase di registrazione e nel predisporre un adeguato sistema di riproduzione, per rendere la riproduzione meno ingannevole oserei dire più "naturale": è ovvio che rimarrà sempre la differente intensità e l'effetto ritardo per ricostruire la corretta scena sonora, ma questi due elementi "lavoreranno", per così dire, assai meno. Soltanto l'innovazione tecnologica del digitale ha, in concreto, reso possibile tutto ciò ed è sempre dal progresso tecnologico che ci si attende il raggiungimento di nuove frontiere che non sarebbero poi così lontane.
Da quello che risulta al vostro relatore tentativi concreti di registrazione e riproduzione a cinque canali, ai soli fini Hi-Fi, sono in fase di realizzazione, ma non avendone mai ascoltato uno non si è in grado di relazionare i famosi "pochi lettori" su tale sperimentazione, rimandando tutti gli interessati a scrivere direttamente alla Fonè che è in procinto di pubblicare una trilogia dedicata ad Astor Piazzolla in collaborazione con il maestro Salvatore Accardo, realizzata proprio con tecniche di registrazione multicanale. Ricordo che si tratta sempre di sperimentazioni e che a tutt'oggi tale processo è sicuramente in fase avanzata, ma non ancora in fase di commercializzazione di massa.
Sperando di aver fugato tutti i dubbi sul concetto di Alta Fedeltà Assoluta o magari di averne aggiunti degli altri mi congedo affettuosamente...

Ancora un grazie a tutti coloro che mi scrivono e mi spingono ad andare avanti a dimostrazione di come l'interesse per gli argomenti trattati sia sempre elevato.

Roberto De Laurentiis - email: Klf20@virgilio.it  

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