GLI AMPLIFICATORI IN CLASSE A

Dopo aver esaminato le caratteristiche dei principali dispositivi di amplificazione, volgiamo lo sguardo alla loro concreta applicazione. In estrema sintesi un amplificatore è un circuito in grado di aumentare l'ampiezza di un generico segnale di ingresso non sufficientemente ampio da poter essere inviato, così com'è, direttamente ai diffusori.
Un buon amplificatore Hi-Fi deve, però, svolgere tale funzione conservando alcune ben precise caratteristiche: deve essere "lineare", cioè deve amplificare tutte le onde del segnale di ingresso nello stesso modo, moltiplicando l'ampiezza di ognuna di esse per la stessa costante K.
In altre parole deve aumentare il segnale ricevuto in ingresso senza fare differenze, come un "buon padre di famiglia" che volge il suo sguardo benevolo verso tutti i propri figli senza alcuna distinzione o preferenza fra essi. In realtà, come già detto, questo concetto non è stato in passato così scontato e sempre ben accetto, esso è stata una conquista abbastanza recente. Trovandomi qualche volta chiamato ad esprimere il mio parere durante alcuni "simposi" sull'argomento, ho accettato alcune posizioni più transigenti, anche se, quando l'ho fatto, non ho mai rinnegato la "via maestra".
Apriamo adesso un'altra breve parentesi audiofila per fare luce sulla frase appena pronunciata. Alcuni appassionati, ad esempio, obiettano che, essendo non lineare la stessa capacità uditiva dell'uomo, che è molto sensibile alle frequenze medie (per i meno attenti si rimanda al Primo Capitolo) e assai meno alle basse, è accettabile, negli amplificatori, la presenza del tasto loudness, ossia di una ben precisa alterazione del segnale di ingresso, da inserire a bassi volumi di ascolto in modo da compensare le naturali attenuazioni dell'orecchio umano……..o altri che affermano che mutando le stessa capacità uditiva dell'uomo in relazione all'avanzare dell'età (è scientificamente provato che nel tempo si tende a perdere la sensibilità alle alte frequenze) e all'uso che si è fatto dell'apparato uditivo durante gli anni "giovanili", sono necessari anche apparati che si adeguino alle caratteristiche fisiche dello stesso ascoltatore.
Ancora nell'integrazione al V capitolo ho parlato dei recenti studi scientifici sull'apparato uditivo umano che rivelerebbero che la stessa percezione è in funzione della forma del blocco uditivo, forma che varia da individuo ad individuo e che influenzerebbe la percezione ultima dei suoni.
So bene che queste riflessioni rappresentano un vero e proprio "campo minato" e dal momento che ho non ho particolari propensioni ai gesti eroici agirerò l'ostacolo tornando ad argomenti più strettamente tecnici. Un amplificatore è detto di tensione se amplifica segnale in tensione, mentre è detto di corrente se amplifica un segnale in ingresso rappresentato da corrente elettrica. L'amplificazione avviene sempre utilizzando un generatore che alimenta il circuito. Un fenomeno importantissimo, particolarmente noto agli autocostruttori, è quello del "rumore", ossia di una serie di frequenze diverse presenti in uscita, ma non in entrata. Tali frequenze sono generate, spesso, dall'amplificatore o possono essere fornite anche dall'ambiente esterno e in tal caso esse vengono chiamate, più propriamente, "disturbo".
Altro fenomeno negativo di un amplificatore è la distorsione di frequenza, ossia la presenza di una variazione indesiderata tra segnale di ingresso e segnale di uscita causata dal fatto che non tutte le frequenze sono state ingrandite (amplificate) nello stesso modo. Tale fenomeno, detto distorsione di linearità, si ha quando viene determinata una deformazione della forma d'onda. Tale deformazione è causata dalla presenza di un segnale d'ingresso troppo elevato che sposta il funzionamento del dispositivo di amplificazione (Bjt, Fet o Valvola) in una zona non lineare della proprie curve caratteristiche che può arrivare alla completa saturazione del dispositivo.
Cercherò, adesso, di rendere più chiaro il concetto. Riportiamo su un diagramma cartesiano, in ordinata, la corrente di collettore Ic, e sull'asse delle ascisse la tensione Vce (collettore/emettitore) di un generico transistore bipolare a giunzione, al fine di mettere in relazione tensione collettore/emettitore e corrente di uscita per un determinato valore della corrente di base che ipotizziamo rimanere fissa ( Ib = K kostante).Aumentando il valore della tensione Vce, inizialmente Ic crescerà e anche abbastanza rapidamente fino a raggiungere valori di 0,6 V. Per valori maggiori di 0,6 V la curva si appiattirà fino a che anche per sensibili variazioni della tensione Vce la corrente di collettore non aumenterà più, avendo raggiunto il suo valore massimo. In parole povere questo vuol dire che una volta che il Bjt è entrato in conduzione fa passare corrente.
Se mi si consente una similitudine è un po' come aprire una finestra in una stanza che ha le altre finestre e la porta chiuse e misurare la quantità d'aria che vi passa. Inizialmente per piccole aperture (1 o 2 cm) si determinerà una corrente nella stanza: oltrepassato un certo limite, ad esempio 4 cm le differenze ci saranno sempre, ma saranno minime: certo più si aprirà la finestra più aria entrerà nella stanza, ma le differenze tra tenerla aperta a 30° o 40° o 70° saranno quasi trascurabili. Stessa cosa avviene nei Bjt.Uno sguardo al diagramma cartesiano sottoriportato renderà il concetto semplicissimo:



Tale curva si ha per un determinato valore di corrente presente in Base, Ib, che abbiamo ipotizzato rimanere costante (so di ripetermi, ma in alcuni casi è bene sottolineare) e mette in relazione la corrente di collettore Ic rispetto alla tensione collettore/emettitore Vce. (Corrente perché, per i meno attenti, il transistor è un dispositivo di amplificazione di corrente, se avessimo preso in considerazione la valvola termoionica avremo parlato di tensione).
La leggera pendenza della curva è dovuta al fatto che si verifica sempre un piccolo aumento di Ic per elevati valori della tensione di collettore Vce. La regione di svuotamento della giunzione collettore-base, infatti, si allarga riducendo le dimensioni della base e lasciando transitare un maggior numero di elettroni per cui la corrente Ic aumenterà anche se di poco…. un po' di tempo per rimettere tutto in ordine nella propria testa e ………….continuiamo………….. Adesso se tracciamo su uno stesso diagramma diverse curve, fissando altrettanti valori della corrente fornita in base, Ib, (tracciamo cioè tante curve, una per ogni valore di Ib) otteniamo il diagramma della "famiglia" di curve caratteristiche di uscita, che mostra la corrente di collettore al variare della corrente di Base:


All'aumentare della Ib aumenterà anche la Ic, ma la tensione Vce ha una scarsa influenza sulla Ic. Si osservi come l'inclinazione delle curve è più marcata per elevate correnti di collettore in ragione del fatto che, sebbene l'aumento di hfe, con l'aumentata tensione di collettore, sia uguale per tutte le correnti di collettore, si verifica un aumento maggiore, in valore assoluto, per quelle curve nelle quali il valore della corrente di collettore risulta in partenza più elevato. E' ovvio, poi che vi sarà una Ic massima che non crescerà più oltre un certo valore, quale esso sia lo lascio indovinare a Voi….. Ora per ognuna delle curve tracciate c'è un valore massimo di potenza dissipabile dal transistor: W=Vce*Ic (corrente per tensione).
Ogni Bjt ha una potenza massima dissipabile oltre la quale, come sanno bene tutti coloro che negli ultimi mesi hanno provato ad abbassare il valore della resistenza di emettitore su Ella, non si può andare pena la distruzione del dispositivo stesso. Le curve sopra tracciate sono quindi teoriche (spero che qualcuno non decida di suicidarsi per la delusione) non potendo il Bjt lavorare come indicato dalle curve del grafico.
I più attenti avranno già notato come le curve nella parte più a destra si impennano leggermente: il valore sull'asse delle ascisse corrispondente a tale impennata (30V) indica la tendenza del Bjt (che si sta considerando nel nostro esempio) al breakdown a valanga relativo alla giunzione inversamente polarizzata, collettore/base. Tale fenomeno determina il limite massimo consentito per il valore della tensione collettore/emettitore.


In questo grafico abbiamo aggiunto l'iperbole della massima potenza dissipabile dal nostro transistor che individua le zone reali di funzionamento del Bjt (che sono le zone a sinistra della iperbole rossa) per i valori di Vce ed Ic.
L'amplificatore di tensione nei circuiti che a noi stanno a cuore, i segnali significativi, sono segnali di tensione continua o alternata: l'amatissima puntina dei vecchi giradischi (vecchi, ma che adesso stanno tornando fortemente di moda tra gli appassionati tanto da essere considerati veri e propri oggetti di culto) sono semplici trasduttori che trasformano un segnale meccanico in un segnale di tensione da amplificare opportunamente.
Il transistor, come prima ho ricordato, nonostante sia sostanzialmente un dispositivo amplificatore di corrente trova la sua principale applicazione proprio nell'amplificazione di segnali di tensione.
Nella figura sottoriportata c'è un banalissimo circuito nel quale il segnale di uscita viene prelevato grazie ad una resistenza di carico R1 dove scorre la corrente di collettore del BJT. La tensione di ingresso, Vin, è applicata alla giunzione base/emettitore e in virtù della resistenza offerta dalla giunzione da vita alla corrente di base Ib. Se qualcuno non ha capito, un piccolo richiamo alla legge di Ohm dovrebbe aiutare: R=V/I cioè I=V/R. Tale corrente Ib produce una maggior corrente Ic che determina una caduta di potenziale sulla resistenza di carico Ic R1.


In tale schema è presente il transistor npn in configurazione ad emettitore comune: emettitore comune perché il circuito di ingresso (base/emettitore) e il circuito di uscita (collettore/emettitore), hanno entrambi in comune l'emettitore.In tale schema sono presenti, quindi, due resistenze, R1 e R2. La resistenza R2 rappresenta il nostro carico di uscita, mentre R1, come già detto, la nostra resistenza di carico.
E' ovvio che al variare della tensione di ingresso Vin, alla base del Bjt avremo una variazione di resistenza tra collettore ed emettitore: il nostro Bjt si comporterà come una resistenza variabile in funzione della Vin. Pertanto possiamo considerare il nostro Bjt la terza resistenza dello schema R3 = f(Vin). La f sarà una funzione inversamente proporzionale, poiché se Vin è elevata il Bjt farà passare molta corrente e il suo valore come resistenza sarà basso, e viceversa. Nel circuito ho segnalato anche la massa, che rappresenta la connessione elettrica tra ingresso, uscita e polo negativo dell'alimentazione. La massa costituisce il polo di riferimento per tutte le tensioni del circuito.
Lo schema appena mostrato è troppo semplice per poter essere impiegato come amplificatore di tensione: esso amplifica solo tensioni positive superiori a 0,5V. Perché? Perché 0,5V è il limite necessario a polarizzare direttamente la giunzione base emettitore, per tensioni inferiori non scorrerà corrente nel Bjt. Allora se vogliamo che il nostro circuito amplifichi tensioni negative anche al di sotto di tale valore è necessario polarizzare direttamente la giunzione base/emettitore indipendentemente dalla presenza o meno del segnale. Occorre, cioè, rendere la polarizzazione indipendente dal segnale. La tensione del segnale di ingresso può, infatti, essere costituita da semionde positive o negative e allora occorre far in modo che anche la tensione di collettore possa assumere valori positivi e negativi, ma positivi e negativi non in assoluto, ma in relazione alla tensione di polarizzazione. Come prima conseguenza, allora, avremo un circuito che anche in assenza di segnale di ingresso farà assorbire al collettore corrente in modo da mantenersi a metà strada tra tensione di alimentazione e massa: se l'alimentazione è 9 V, il punto di mezzo sarà 4,5 V. Questo per consentire al collettore di poter andare in entrambe le direzioni in dipendenza, adesso, del segnale di ingresso. Se il segnale di ingresso (Vin) sarà positivo, allora il collettore andrà da 4,5 a 9V, se Vin sarà negativo, il collettore andrà da 4,5 a 0 V.
Uno sguardo allo schema successivo chiarirà ogni dubbio:


In questo schema arriva corrente direttamente alla base, mentre il segnale di ingresso, Vin, è isolato dalla presenza del condensatore che impedisce alla corrente di andargli contro. Anche sull'uscita è stato collocato un condensatore che, come sapete, ha la proprietà di trattenere la carica e di trasmettere soltanto segnali alternati. In questo schema, infatti, il Bjt è sempre in conduzione, anche in assenza di segnale, poiché è sempre presente una corrente di base (Ib).
La determinazione dei valori da attribuire alle resistenze viene facilmente ricavata dalla legge di Ohm (sempre lei, banale, ma indispensabile) e dal valore della corrente di collettore a riposo del Bjt. Tale corrente varia da modello a modello.
Nel caso tale valore, per il nostro ipotetico Bjt, fosse = 1mA, allora dalla formula di Ohm avremmo R = 4,5/1mA = 4.500 ohm per la R1 (resistenza di carico). Prendendo poi l'altro valore tipico dei Bjt, ossia, l'hfe =200 (il guadagno del Bjt) sapendo che la Vcc è di 9 volt avremmo:Vce=Vcc-IcR1 (questa formula è ovvia e non la spiego)siccome Ic è dato dal guadagno del Bjt, cioè, hfe moltiplicato per la corrente che entra in base (Ib) avremo: Vce=Vcc-hfeIbRl, niente panico… non abbiamo fatto altro che sostituire Ic con hfe*Ib.
Avevamo detto che la corrente di collettore Ic a riposo del nostro Bjt era 1mA, quindi vuol dire che hfeIb=1mA, ma hfe è un valore conosciuto, nel nostro esempio è 200 e allora Ib=1/200=5uA. Abbiamo così determinato il valore della corrente di base Ib necessaria per avere 1mA sul collettore che è la corrente a riposo del Bjt, sempre dalla legge di ohm sappiamo che R4=Vcc/Ib quindi otteniamo il valore della resistenza R4 = 1,8M (attenzione agli zeri) facile no? Questo è un primo schema banale di amplificazione in Classe A (normalmente mi sarei fermato qui, ma per i motivi che esporrò alla fine di questo capitolo, vado leggermente avanti).
Un problema legato allo schema appena illustrato è, però, la dipendenza della tensione a riposo del collettore, dal parametro del guadagno del Bjt, il parametro hfe. In realtà, nell'esempio di prima abbiamo ipotizzato che l'hfe sia = 200, ma nella realtà esso può andare da 90 e 450, cioè l'hfe del Bjt non è, purtroppo, un valore fisso e costante. Leggiamo sulla scheda di un determinato Bjt l'hfe=200, ma la stessa ditta costruttrice precisa che in realtà tale parametro può oscillare tra valori ben più ampi.
Questa imprecisione può sconvolgere il punto di lavoro e i nostri calcoli, ed indurci a calcolare dei valori che fanno lavorare il Bjt pressochè in condizioni di saturazione. Ecco allora che si ricorre a schemi diversi da quello appena mostrato, nei quali si rendono indipendenti i valori delle resistenze dal parametro hfe.
Gli accorgimenti sono quelli di dimezzare la resistenza di base connettendola al collettore in modo che Vce = Vcc/2. In questo modo è ovvio che la corrente di polarizzazione della base dipende dalla tensione a riposo del collettore, in modo da evitare che anche per valori elevati di hfe, il Bjt entri in saturazione. Se la tensione di collettore si abbassa, a seguito di un aumento dell'hfe, allora si ridurrà anche la corrente di base e quindi la corrente di collettore in modo da allontanare il punto di saturazione. Se invece l'hfe è basso allora la tensione di lavoro del collettore sarà alta e con essa anche la corrente di base: Ib=Vce/Rb se adesso prendiamo in esame l'equazione di prima:Vce = Vcc – hfe Ib R1 e sostituendo IB= Vce/RbVce=Vcc/1+hfeRL/Rb dove RL=resistenza di carico e Rb = resistenza di base.
Nell'equazione c'è, ancora, il parametro hfe, vedremo poi come eliminarlo, ma adesso a sue forti oscillazioni non corrisponderà più una forte oscillazione di Vce: se Hfe=100 la Vce sarà = 6 se hfe=400 la Vce sarà =3, quindi, l'influenza di Hfe, nello schema sotto riportato è notevolmente diminuita:


C'è, infine, ancora una possibilità per eliminare del tutto l'influenza del parametro hfe (che vi sarà certamente diventato odioso) ottenuta inserendo il resistore Re tra emettitore e potenziale di riferimento (massa). Tale resistenza fa sì che l'emettitore non si trovi più a potenziale zero ma ad una determinata tensione data da Ie ed Re. Anche la base viene polarizzata con un partitore resistivo costituito da due resistenze. Essendo la giunzione base/emettitore polarizzata direttamente si determina una piccola caduta di potenziale di circa 0,6 V: il potenziale di emettitore è quindi dato da quello di base – 0,6. In formule:Ve=Vb-0,6inoltre adesso sappiamo che Ve essendo dipendente dalla resistenza opportunamente inserita e funzione di Re e Ie Ve=IeRe dunque Ie= (Vb-0,6)/ReCosa vuol dire tale formula? Vuol dire che la corrente di emettitore è funzione del potenziale di base Vb e dalla resistenza Re. Sappiamo inoltre che Ie=Ic+Ib, ma Ib è piccolissimo e sicuramente inferiore a Ic.
Nell'esempio di prima Ic= 1mA dunque anche Ie=1mA e non dipende più dal parametro hfe (evviva!), ma solo dal valore delle resistenze e dal valore di Vcc (tensione di alimentazione). In parallelo a Re si pone di solito un condensatore che impedisce che le cadute di tensione, presenti sulla resistenza, si possano sottrarre al circuito d'ingresso base emettitore e dunque al segnale di ingresso.


I concetti fin qui esposti dovrebbero essere sufficienti per esaminare più analiticamente lo schema di Ella e per fare le opportune riflessioni del perché sia stato così importante abbassare, ad esempio, il valore della resistenza di emettitore con tutti i problemi di dissipazione di calore che ne sono scaturiti. Inoltre per i più volenterosi sarà possibile cogliere le differenze tra uno schema che utilizza una valvola ed un transistor (come Ella) e uno schema, come quello sopra riportato, dove c'è soltanto un Bjt e dove il valore della tensione di alimentazione non è così elevato (solo 9 volt).
Negli amplificatori a valvole è, infatti, necessario lavorare con tensioni molto elevate (abbiamo già visto perché) che devono essere successivamente abbassate prima che il segnale arrivi ai diffusori. A ciò provvede il trasformatore di uscita che svolge anche la funzione di condensatore. In realtà questo X capitolo è stato un capitolo denso di elementi e concetti, volutamente così realizzato al fine di mettere molta "carne al fuoco" per i periodi di magra: sono, infatti e mio malgrado, costretto a congedarmi da questo impegno, almeno momentaneamente, per sopraggiunti "carichi" di lavoro.
Lasciando tutti alle opportune riflessioni, che spero, anche stavolta aver suscitato, mi congedo e Vi aspetto in autunno per continuare questa piccola avventura….A presto



Roberto De Laurentiis - email: Klf20@virgilio.it  

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