Abbinando ad ogni nota musicale un numero aritmetico e distinguendo le note anche a seconda del proprio timbro e della propria intensità, come peraltro è stato già fatto da alcuni ricercatori matematici molti anni or sono, si noterebbe chiaramente che le serie numeriche, così ottenute, esprimono chiare e determinate funzioni algebriche. I suoni si combinano, infatti, secondo intervalli temporali regolari calcolabili in funzioni complesse. In sintesi, dati in input dei suoni, applicando ad essi le regole di cui sopra, si ottengono in output espressioni matematiche periodiche simili a quelle che ognuno di noi ha avuto modo di studiare durante le noiosissime ore dedicate all'argomento negli anni del liceo.
Ora, lungi da me la terribile idea di risvegliare nella vostra memoria i sepolti ricordi di quello che fu il vostro insegnate di Analisi, concluderò, questa veloce parentesi, affermando che, se si ripetesse l'esperimento, appena proposto, nei confronti di quelle vibrazioni, per così dire, “improprie” classificate come rumori, si pensi ad esempio al fragore di un tuono durante un temporale, non scaturirebbe, in output, alcuna funzione matematica periodica, ma solo un insieme di numeri assolutamente scorrelati fra loro.
Spero che questa violenta introduzione non abbia sconcertato nessuno dei miei "pochi lettori". Era soltanto doveroso chiarire un fondamentale concetto che sta alla base di tutta la materia che andremo ad affrontare, e cioè la fedele riproduzione dei suoni che insieme formano la Musica, e non si poteva proprio prescindere dal definirne il concetto.
L'uomo, peraltro, ha sempre cercato di riprodurre ciò che ascoltava fin dai tempi più remoti, dapprima imitando i diversi suoni egli stesso, e successivamente, molto successivamente, costruendo apparati elettronici capaci di adempiere tale compito.
Se c'è adesso qualcuno, pronto ad asserire che la sto facendo troppo lunga, allora vorrà dire che l'idea di creare questa sezione audiofila, in collaborazione con l’infaticabile Alessandro, è stata proprio la cosa più azzeccata che potessimo fare.
L'Alta Fedeltà, come di seguito affermeremo, è, infatti, proprio l'Arte di riprodurre, in maniera esattamente fedele alla realtà, i suoni così come si presentano in natura. Ovviamente il concetto di " natura" deve essere preso in senso lato, vale a dire che un violino, strumento "principe", costruito in legno ecc, ecc, emette un suono che definiremo "naturale" anche se, senza l'intervento dell'uomo, esso non esisterebbe, quindi non è un elemento naturale in senso stretto. Useremo tale dizione anche per definire le vibrazioni emesse da un’orchestra sinfonica o da un pianoforte.
Malgrado gli innumerevoli sforzi, non si è ancora riusciti, oggi, a realizzare apparati elettronici in grado di replicare le sensazioni musicali così come esse sono originariamente percepite. Certo i passi in avanti sono stati tantissimi, soprattutto negli ultimi 20 anni, dai primi grammofoni ai moderni DVD o Super Audio CD , ma non si è ancora raggiunta, purtroppo o per fortuna, l'assoluta perfezione.
Dopo aver brevemente accennato al concetto di musica, spendiamo due parole anche nei confronti di quel “ signore” incaricato di percepirli: l'orecchio umano. Senza sconfinare, adesso, nel campo medico-scientifico diciamo brevemente che l'orecchio è l'organo preposto a raccogliere le vibrazioni dei corpi e a riportarle al cervello. Quest'ultimo le analizza, le riconosce e reagisce regalandoci, se gradite, stupende emozioni.
Le vibrazioni dei corpi, dunque, generano quelle che vengono definite onde
sonore. Ora non mi dilungherò nell’elencare i vari tipi di strumenti musicali
(idrofoni, membranofoni, aerofoni, cordofoni ed elettrofoni), e il loro
principio di funzionamento: sarebbe, infatti, necessario dedicare all’argomento
un intero capitolo, ma saltando l’argomento a “piè pari” focalizzerò la
discussione direttamente sul concetto delle onde sonore che da tali strumenti
scaturiscono.
Il numero delle vibrazioni, compiute nell'unita temporale, che si propagano
nell’aria, distingue i suoni e ne determina la frequenza. L'orecchio umano,
grazie a Dio, non riesce a percepire tutte le frequenze esistenti, altrimenti
impazziremmo: quelle presenti, ad esempio, in un prato fiorito, allo sbocciare
della Primavera, sono addirittura migliaia. Se avessimo la capacità di
sentirle tutte il nostro cervello sarebbe bombardato da una serie infinita
di suoni non riuscendo più a distinguerli e ad elaborarli. La gamma di
frequenze udibili dall’essere umano oscilla da un minimo di 20 ad un massimo
di 20.000 Hz. Questo in soggetti giovani che non abbiano trascorso
troppe ore in discoteca: scoprirete presto che, nonostante la mia “giovane”
età, ho una particolare simpatia per questi luoghi di insano divertimento. Vi
siete mai chiesti perché dopo aver trascorso una “bella serata” bombardati
da quel rumore martellante andando a letto e rimanendo nel più totale silenzio
i timpani iniziano a fischiare?
Tornando alle frequenze udibili è bene precisare, sin da subito, che,
nonostante in basso teoricamente possiamo toccare i 20 Hz (secondo alcune
riviste mediche anche i 16 Hz) è quasi impossibile ricreare queste frequenze in
una comune stanza di ascolto. Ma approfondiremo meglio questo argomento nel
capitolo III che ho voluto riservare, vista l'importanza, proprio alle
caratteristiche dell'ambiente di ascolto.
Se prendiamo a riferimento la chitarra, uno dei classici strumenti cordofoni
a pizzico, (faccio quest'esempio perché ho studiato per un po' di anni la
chitarra classica e perché le corde qui sono più visibili di quelle del
pianoforte) e sollecitiamo la sesta corda senza impegnare nessun tasto, per la
cronaca se ben accordata è il Mi basso, vediamo che questa inizia ad oscillare.
Ebbene il numero di oscillazioni per minuto secondo, che la corda sollecitata
compie, esprime quella che definiamo frequenza. Ad esempio se un corpo elastico
(corda di violino, di pianoforte ecc) produce una frequenza di 100 Hz, vorrà
dire che tale corpo, sollecitato, oscillerà 100 volte al secondo.
Ciò se ci riferiamo a strumenti cordofoni, negli altri tipi, invece, si
ottengono sempre vibrazioni, non più di corde elastiche, ma causate
direttamente da aria o da altri elementi.
Quando iniziamo ad impegnare i tasti presenti sul manico della chitarra non
facciamo altro che aumentare le frequenze di oscillazione della corda,
poiché ne riduciamo la lunghezza, ottenendo così suoni più acuti e,
conseguentemente, frequenze più elevate. Più basso è il numero delle
vibrazioni più basso è il suono che percepiremo e viceversa: ne consegue che i
suoni si distinguono fra loro per quella che viene definita “ altezza”.
La gamma di frequenze udibili, che abbiamo fissato tra 20 e 20.000 Hz, può essere suddivisa in 10 ottave. La prima, la seconda e così via; è ovvio poi che la distribuzione dei suoni è continua, non discreta, cioè, si tratta di una suddivisione convenzionale: esistono sempre suoni udibili tra un'ottava e l'altra, solo che il nostro orecchio tende a distinguere due suoni di pari livello se fra il più basso e il più alto c'è una differenza doppia di vibrazioni per unità di tempo, ossia se essi differiscono per un'ottava.
Da quello che abbiamo detto possiamo distinguere i suoni, come sopra già accennato, in bassi, medi e alti, rispettivamente se le frequenze sono ricomprese in intervalli di 20-400, 400-4.000 e 4.000-20.000 Hz.
Come avrà certamente capito il lettore più attento, la gamma delle frequenza non è udibile da tutti nello stesso modo. Ho fatto sopra l'esempio del giovane che, avendo trascorso molte ore in discoteca per "cuccare", magari è così sfigato che non lo ha fatto e contemporaneamente ha perso la sensibilità alle frequenze più alte (bell'affare), rinunciando per sempre a poter diventare un puro audiofilo (ma queste donne quante ne combinano)!
La percezione ottimale si attesta intorno alle medie delle medie frequenze, vale a dire intorno ai 1.000 Hz, gamma nella quale si riescono a percepire suoni anche molto sfumati. Tale livello è anche indicato con 0 dB (decibel) che equivale alla soglia di udibilità. 120 dB indica, invece, la soglia del dolore: per dare un’idea dovrebbe essere, più o meno, il rumore subito da chi comodamente sdraiato sulle rotaie della ferrovia vede un treno passargli sopra lanciato a folle corsa (queste sono le conseguenze sul mio immaginario di troppi film alla Harrison Ford).
Il decibel è l’unità di misura convenzionale che indica il livello di un
fenomeno acustico. La sensazione uditiva dell’orecchio umano non è,
però, proporzionale alla potenza del suono: il loro rapporto segue una
legge approssimativamente logaritmica e, per esprimere l’intensità di un
suono, si deve ricorrere a un’unità di misura, appunto logaritmica., quale il
bel (deci-bel).
Chiariamo in parole più semplici il concetto: non so quanti di Voi abbiano posseduto, nella propria “catena Hi-Fi”, un “ misuratore di potenza”, elemento assai di moda negli anni ‘70 (per la cronaca io ho posseduto un Cabre a led rossi verdi e gialli, che dava un certo effetto scenico). Ebbene per capire appieno l’affermazione fatta basterebbe installarne uno sulle uscite del vostro amplificatore e riscontrare che, alzando progressivamente il volume, le lancette del misuratore di potenza crescerebbero proporzionalmente, mentre la vostra sensazione uditiva aumenterebbe molto più lentamente. Ecco perché, se si possiede un amplificatore da 50 W abbinato a diffusori diciamo poco efficienti, per aumentare in modo rilevante la “potenza uditiva” occorrerà dotarsi di un amplificatore molto più potente es. 100 W, evitando di cadere nell’errore che così facendo si otterrà un impianto di “potenza” doppia. In effetti il vostro “buon rivenditore” è pronto a dirvi che quel determinato amplificatore ha una potenza doppia rispetto a quello che gli avete reso, e questo è vero, ma si guarderà bene dal dirvi che la potenza uditiva che percepirete sarà di poco superiore, soprattutto se poi gli ultimi 30 Watt, “dell’affarone” che state per fare, sono di pura distorsione.
Tale caratteristica è l’intensità, ossia la forza con cui viene
prodotto un suono. La misura dell’intensità dell’onda sonora viene espressa
in Watt. Estremizzando il concetto teorico, fatene poi l’uso che volete,
l’intensità è il “ flusso medio di energia che, nell’unità di tempo,
attraversa una superficie di area unitaria disposta perpendicolarmente alla
direzione della propagazione”.
Noi, comuni mortali, non abbiamo la capacità di sentire le altre frequenze con la stessa precisione con cui percepiamo i 1.000 Hz. Di conseguenza è del tutto normale, per allacciarci adesso al campo che ci interessa più da vicino, che a bassi volumi non si riescano a percepire le frequenze più basse e più alte, nonostante queste siano magari correttamente riprodotte da un impianto Hi-Fi degno di tale nome. In altre parole soltanto raggiunto un determinato livello sonoro l’orecchio umano incomincia a funzionare correttamente rimanendo sensibile a tutte le frequenze nello stesso modo. L’introduzione, negli amplificatori, di pulsanti e pulsantini che aumentino a dismisura la presenza di gamma bassa, i famigerati tasti loudness, tanto per intenderci, sono, a parere di chi scrive, quanto di peggio possa essere stato prodotto, negli ultimi anni, durante l’avvento dell’elettronica di massa.
Qualcuno,
infatti, mi dovrebbe spiegare che senso ha enfatizzare quelle frequenze
che il nostro orecchio a bassi livelli di ascolto naturalmente, e sottolineo
naturalmente, attenua. Né si possono condividere coloro che si pongono davanti
ad un impianto con la convinzione che l’approccio audiofilo sia quello
realizzato a basso volume: è normale poi che le case costruttrici inventino il
tasto loudness in modo da far risultare gli amplificatori più presenti. Ma
presenti poi a chi e a che cosa? Certo un buon impianto non si deve “afflosciare”
abbassando un po’ il volume, ma da qui ad estremizzare il concetto ce ne
passa. Né condivido i sostenitori dell’idea che un impianto Hi-Fi ben
equilibrato a causa delle caratteristiche dell’orecchio umano può dare l’impressione
di non essere adeguatamente presente sulla basse e sulle alte frequenze e che,
quindi, va opportunamente equalizzato con diverse configurazioni a seconda del
volume di ascolto: quando ascoltiamo un’orchestra sinfonica il nostro orecchio
attenua alti e bassi rimanendo sensibile più alle medie frequenze, di
conseguenza mi sembra logico che una corretta riproduzione dovrà riprodurre
esattamente gli stessi risultati.
.…” In Medio Stat Virtus” dicevano i latini, che, anche se non avevano
mai visto un impianto Hi-Fi, dovevano sicuramente saperne più di molti “esperti”
dei nostri giorni,…… ma andiamo avanti.
Nel maggio del 1985 organizzai un piccolo saggio musicale tra alcuni giovani
musicisti in “erba”. Dunque, c’ero io con la mia Clarissa, una mediocre
chitarra classica, e un mio carissimo amico con il suo Petrof “verticale”
(pensate che livello). Ebbene tra le altre cose che improvvisammo anche un brano
tratto da non ricordo bene quale libro (doveva essere il F. Carulli) che
eseguimmo insieme sfalsando i tempi di esecuzione. Prima suonavo io, alcune
righe dello spartito, con la Chitarra, poi lui con il Piano e così via. Ora non
racconto ciò per raccogliere i vostri applausi, comunque sempre graditi, ma per
introdurre il concetto di “ timbro musicale”: la mia chitarra e il suo
pianoforte eseguivano le stesse note, ma non doppiavano alla perfezione i suoni,
avendo timbri diversi. Questo breve racconto per dirvi che il timbro è la
sommatoria delle armoniche che ogni strumento musicale genera.
Il Do della Chitarra non sarà mai lo stesso del Pianoforte o di un qualsiasi altro strumento. Quando ascoltiamo una qualsiasi nota musicale, oltre all’armonica fondamentale, che ne determina la maggior parte delle sue caratteristiche, arrivano al nostro orecchio anche altre armoniche che lo influenzano in maniera inconfondibile. Non tutti i violini sono infatti degli “Stradivari”. Evidentemente lo “Stradivario” produce armoniche uniche che lo contraddistinguono dagli altri violini e ne determinano una bella differenza di valore. Torniamo adesso un po’ indietro per approfondire il concetto.
Lo studio delle armoniche è stato magistralmente compiuto da un certo signor
Jean Baptiste Joseph Fourier che qualche annetto fa, intorno ai primi del
1800, mentre noi eravamo sempre impegnati in discoteca a “cuccare”, già s’interessava
del fenomeno dei suoni.
Ebbene
Fourier studiò la loro rappresentazione matematica definendo il Periodo come il
lasso temporale nel quale la vibrazione si ripete con regolarità, cioè il
tempo impiegato dall’onda sonora per percorrere la distanza di una lunghezza d’onda,
e scomponendo il segnale periodico nella somma di segnali semplici sinusoidali
(Teorema di Fourier). Di questi segnali il primo fu definito “ Prima Armonica”
o “ Fondamentale” e gli altri, aventi frequenze multiple, “ Armoniche
Superiori”. Ora occorrerebbe tornare ai seni, non quelli della bella
Sabrina Ferilli, ma quelli un po’ meno eccitanti della Trigonometria.
Ricordate y=sen(x)+cos(x) e compagnia bella? Se qualcuno sta per “dare di
stomaco” lo tranquillizzo subito dicendo che non tratterò nessuna formula
matematica, almeno per il momento. Riepilogando l’armonica fondamentale era la
stessa per ogni nota suonata da me e dal mio carissimo amico in quella storica
primavera del 1985. Ciò che però fece capire a tutti che lui era più bravo di
me, furono proprio le armoniche superiori che consentivano, a chiare note, di
distinguere i due strumenti, la loro angolazione nella stanza e altro ancora.
Il
Teorema di Fourier, quindi, per chi ricorda bene le funzioni trigonometriche,
permette di effettuare l’analisi matematica di un qualsiasi fenomeno musicale
rappresentando, con l’ausilio dello studio di funzioni, su di un asse
cartesiano le forme della Fondamentale e delle Superiori che lo
compongono. Ora sarebbe interessantissimo disegnare, con Fourier, il
diagramma delle onde sonore prodotte dall’impianto non Hi-Fi di una discoteca
e vedere quanto questo si avvicini al grafico del puro rumore.
(Spero a questo punto che nessuno di Voi ne gestisca una…. )
Tornando adesso su un ambito prettamente audiofilo e tecnico, possiamo
facilmente intuire che qualsiasi amplificatore riproduce in modo perfetto l’armonica
fondamentale, mentre può perdere le sue doti Hi-Fi proprio nella riproduzione
delle armoniche superiori. In altre parole può distorcere. Soltanto qualcosa di
mal funzionante, pensate ad un walkman con batterie scariche, può non
riprodurre fedelmente neanche la prima armonica. A volte, invece, la distorsione
è un fenomeno voluto e ricercato, ma questo e tutto un altro discorso che non
sfioreremo nemmeno.
Ancora aggiungiamo che, quando una nota musicale, contenente solo alcune
armoniche fondamentali, viene da noi ascoltata, il “signore” di cui sopra,
ossia il nostro orecchio, produce le armoniche mancanti attraverso una serie di
battimenti. A causa di ciò l’uomo non ha la capacità di distinguere le alte
frequenze se queste vengono prodotte unitamente ad un sottofondo di suoni di
bassa frequenza aventi intensità elevata. Tale fenomeno viene comunemente
chiamato “mascheramento”. Quindi l’ing. Paul W. Klipsch (pioniere dell’alta
fedeltà insieme ad altri signori come Sidney Harman e Bernard Kardon o ancora
Saul Marantz) che “tagliava” i suoi diffusori da 35 a 17.000 Hz aveva le sue
buone ragioni dettate da alcune considerazioni: la prima è la sensibilità
uditiva dell’orecchio umano, la seconda è la quasi impossibilità di ricreare
in una stanza d’ascolto, di normali dimensioni, frequenze al di sotto dei 45
Hz (poi vedremo perché) e, non da ultimo, la terza che come abbiamo visto è
rappresentata dal fenomeno del mascheramento, ma torneremo tra poco sull’argomento….
Ultimo concetto che vorrei toccare, in questo primo capitolo, è la velocità di propagazione dell’onda sonora. Avete mai provato ad ascoltare un po’ di musica in una torrida giornata di Agosto, quando i termometri impazziti segnano i 35°? Qual è stata la vostra sensazione? La mia che il mio impianto Hi-Fi suonasse particolarmente male, in diverse occasioni, annebbiato dal caldo, l’ho anche energicamente rimproverato, ma non è servito.
L’onda sonora si propaga, infatti, con una velocità che dipende dal mezzo di propagazione e dalla sua temperatura. Ora posto che nessuno di noi sognerebbe mai di ascoltare un po’ di buona musica immerso in una piscina o standosene comodamente sdraiato in fondo al mare, ci occuperemo esclusivamente della propagazione dell’onda sonora nell’atmosfera.
La velocità del suono in aria secca a zero gradi è di circa 331,6 m/s, ma aumenta al crescere della temperatura: a 20° aumenta già di quasi 10 m/s. Quindi è ovvio che a temperature elevate, per chi abbia un minimo di orecchio, la percezione dei suoni sia molto differente da quella che si può riscontrare in una comune sala d’ascolto adeguatamente climatizzata intorno ai 18°. Morale della favola “ mai testare impianti Hi-Fi d’estate e in stanze prive di climatizzatori, ne risulterebbero impianti elettrizzati estremamente dinamici ed affaticanti”.class="MsoBodyText2" style="TEXT-INDENT: 35.45pt; LINE-HEIGHT: 100%" align="justify"
Sarebbe, adesso, interessante interromperci brevemente per passare la
parola ad Alessandro Coppi, chiedendogli nello specifico:
1.
quali sono le “risposte in frequenza” dei suoi amplificatori;
2.
se questi effettuano dei tagli fisiologici o delle enfatizzazioni
predeterminate;
3.
qual è la distorsione che producono.
Premetto
adesso che non è assolutamente mia intenzione turbare il “sacro riposo” dei
pionieri dell’Hi-Fi sopra citati, nello specifico di Paul Klipsch, ma per
dovere di cronaca e per pluralità d’informazione, debbo riportare le
convinzioni di alcuni “ integralisti”, e ce ne sono, secondo cui, anche se
non percepite, le frequenze superiori a 20.000 e inferiori ai 20 Hz
contribuirebbero in maniera assolutamente determinante alla qualità del suono e
dunque andrebbero sempre riprodotte…
Nel dubbio, che spero aver adesso sollevato, vi lascio brevemente alle delucidazioni dell’amico Alessandro.
1) So di dare una delusione a quanti, magari si erano fatti l'idea di aver scovato un "guru" dell'elettronica, la cui passione per l'autocostruzione fosse maturata da approfondita conoscenza della materia, in realtà è il contrario: le mie conoscenze della materia derivano dalla passione per l'autocostruzione.
Quindi sgombrato il campo da possibili equivoci, ed allertato il senso critico di ognuno, dirò liberamente quello che mi pare ci sia da dire sull'argomento "risposta in frequenza & C".
Di solito questo valore è seguito un'altra indicazione, indispensabile per valutare la qualità del dato, ovvero si usa dire ad esempio: risposta in frequenza da 20 a 20.000 Hertz + o - (ad esempio) 3 dB.
Questo vuol dire che il finale in questione erogherà una certa potenza entro l'intervallo di frequenza indicato con variazioni massime di non più del doppio e non meno della metà.... non c'è che dire siamo di fronte ad una bella notizia, ma non è tutto, se non definiamo a che livello di potenza questa misura è fatta potremmo pensare che quanto dichiarato è stato rilevato alla potenza di 1W, quindi in realtà il finale alla sua massima potenza si comporterà in maniera totalmente differente, ovviamente in modo peggiore.
Diverso è il caso in cui al posto di 3 dB fosse indicato un numero inferiore, magari frazionario, in questo caso il dato è sicuramente più rassicurante, però a questo punto bisogna fare alcune considerazioni che mi porterebbero lontano... come l'amico Roberto ha ben spiegato il nostro orecchio non è per nulla bravo a percepire variazioni di intensità anche notevoli, quindi quella variazione così enorme che abbiamo visto nel caso della risposta dichiarata entro 3 dB in realtà è la minima differenza percepibile dall'orecchio.
Ogni dispositivo impiegato in un finale valvola o transistor non importa, ha capacità di raggiungere frequenze estremamente elevate, mentre in basso non ha limitazioni a scendere fino alla cc, avendo a disposizione dei dispositivi così buoni è semplice realizzare dispositivi che hanno risposte in frequenza sterminate, specie se si usano certi accorgimenti..... dei quali non voglio parlare perchè non è una materia come ho detto a me congeniale, comunque ormai tutti sanno che per fare un buon finale c'è una ricetta sicura, in analogia con i tortellini, si sa che occorrono certi ingredienti, in certe dosi, poi vanno preparati in un certo modo, il risultato è pressoché garantito, bisogna essere "cani" per farne un piatto dal sapore cattivo, così per gli amplificatori, sfido chiunque a trovare un finale che non abbia una risposta in frequenza dichiarata almeno superiore al campo di udibilità del nostro orecchio.....
Ciononostante si continua a guardare al valore dichiarato della risposta in frequenza come ad uno dei principali fattori di qualità di un finale, ognuno di noi senza difficoltà capisce che 2 - 60.000 è meglio di 4 - 60.000 che a sua volta è meglio di 4 - 30.000 e così via, nessuno prenderebbe neppure in considerazione un finale che dichiarasse 40 - 15.000 entro 1 dB.
Qualcuno a questo punto potrebbe dire.... ma questo dove vuole arrivare? in realtà non vorrei tirare delle conclusioni, ma dico quello che penso in merito, non sarei affatto sicuro che il finale che ha la risposta in frequenza più ampia e piatta sia migliore all'ascolto, anzi......
So che questa affermazione che sto per fare è un po' forte, ma non mi fiderei affatto di un finale dalla risposta super estesa e super piatta, magari con bassa distorsione, proprio per quei motivi visti prima, sto riferendomi ai trucchi.
Per fare un oggetto di quelle caratteristiche, è noto che la ricetta è la seguente: una coppia di robusti transistor complementari, alcuni stadi di guadagno, possibilmente più di uno, e fantasiosi a piacere in modo da avere un altissimo guadagno, infine il vero tocco del maestro: una forte controreazione per riportare il guadagno al livello desiderato eliminando al contempo distorsione e linearizzando la risposta oltre a tanti altri benefici effetti.
Questa è la strada tutto sommato ancora onesta per fare un finale dalle caratteristiche viste prima, ci sono soluzioni ancora meno impegnative, mi riferisco ai cosiddetti moduli ibridi o power pack, veri e propri circuiti integrati che necessitano solo di tre o 4 collegamenti: entrata, uscita, positivo, negativo e massa, ed ecco un finale con una risposta in frequenza e distorsione da lode.
Ed allora? allora chi segue il criterio di valutazione visto prima per un finale, non è escluso che si porti a casa un oggetto di quel tipo... non voglio dire con questo che si troverà male... però... mi viene in mente un paragone con un argomento che sono sicuro sia ben familiare a tutti:
Se un tale per scegliere la propria fidanzata scorresse un database delle misure di possibili candidate, andando a cercare quella che più si avvicina al perfetto rapporto tra le tipiche misure antropometriche dichiarate (per chi non le ricordasse 90 60 90) potrebbe involontariamente scegliere la befana, infatti le misure potrebbero derivare, non da armoniose linee naturali, ma essere causate rispettivamente da un voluminoso gibbo sulla schiena, ed un busto ben stretto in vita....... brrrr mamma mia che paragone!
Basta, arrivati a questo punto credo che anche il più benevolo e curioso audiofilo non intenda sentire altro sull'argomento da un simile dissacratore, quindi mi fermo qui, non vi dirò se non ho misurato la risposta in frequenza perchè la ritengo una misura inutile o perchè non ho uno strumento adatto o per una combinazione dei due motivi o nessuno dei due... ecc. ecc.
2) Gli schemi che ho realizzato non prevedono volute equalizzazioni, essi suonano con la loro personalità, la ricerca del miglior suono possibile è stata fatta ottimizzando i valori di alcuni componenti, inutile negare che la rete di c.r. dove presente è stata accuratamente tarata dopo giorni di accurate ed ipercritiche prove di ascolto, e spesso la scelta è stata difficilissima, infatti ho notato che trovare il corretto equilibrio di un finale non è affatto facile, spesso la situazione è simile a quella che si incontrerebbe dovendosi coprire con una coperta troppo corta, se si ottimizza per l'estremo basso, perdiamo in trasparenza e vice versa.
Ho imparato che un finale deve suonare come suona, senza pesanti correzioni, infatti se un circuito ha difficoltà ad erogare corrente su di una certa frequenza, non è certo una soluzione valida sovraccaricarlo proprio in quella zona per ottenere una risposta più lineare.
3) Sarebbe bello e forse doveroso da parte mia raccogliere l'invito a parlare dell'argomento distorsione, questa operazione metterebbe subito in luce la realtà dei fatti...... non mi sono mai posto il problema distorsione, e quello che potrei dire non sarebbe farina del mio sacco, dovrei riportare spiegazioni teoriche non verificate, o prese di posizione che non condivido.
L'unica affermazione che mi sento di poter fare per averla verificata, è la seguente: quella che chiamiamo distorsione armonica di secondo ordine "non è distorsione", ma ha a che vedere solo con il timbro, capire poi nella trasformazione del segnale elettrico in energia meccanica (sonora) se influisca in modo positivo o deleterio sulla qualità di ascolto è un altro discorso riguardo al quale ognuno ha le proprie idee.
Per conto mio contribuisce a creare una pre-enfasi del segnale che risulta utile a vincere l'inerzia della parte mobile dell'altoparlante a mettrsi in movimento, avvicinandosi maggiormente alla naturalezza dell'evento reale, infatti l'orecchio attribuisce enorme importanza all'attimo del primo manifestarsi del suono, per riconoscerlo, il transiente di salita è quindi secondo me molto più significativo ai fini del giudizio sulla qualità di ascolto di quanto non lo sia l'esame di un onda stazionaria, che di solito viene usata per misurare la distorsione; a riprova di questo, è possibile fare questa prova: un suono molto prolungato e persistente dopo alcuni secondi perde ogni caratterizzazione, potendosi distinguere a fatica se si tratta di voce umana, sintetizzatore, strumento a fiato ecc.
Nella mia attività amatoriale di autocostruttore non mi sono mai sognato che un giorno qualcuno avrebbe potuto chiedermi qualcosa sulla distorsione, quindi ho portato avanti lo sviluppo dei miei progetti basandomi unicamente sull'ascolto, se un circuito suona bene è segno che ha poca distorsione, se non è così è segno che una bassa distorsione non ha influenza sulla qualità di un amplificatore, questa è la mia filosofia, condivisibile o no.
A sostegno di questa tesi porto l'esempio che più volte è stato fatto da tanti: è noto che alcuni amplificatori economici degli anni '80 non brillassero per qualità di riproduzione, sebbene andando a misurare la distorsione questa si mantenesse su livelli molto bassi, evidentemente questo parametro non ci dice molto sulla capacità di soddisfare il nostro udito da parte di un finale.
Roberto De Laurentiis - email: Klf20@virgilio.it